“IL VUOTO E L’ORIZZONTE” in “Il cielo in trentatré stanze”

 

Contributo per testo e disegni alla pubblicazione “Il cielo in trentatré stanze. Cronache di architetti #restatiacasa” a cura di Federico Bilò, Riccardo Palma, LetteraVentidue edizioni 2020. Nel periodo di forzato isolamento domestico, causato dalla pandemia da Coronavirus, trentatré architetti, studiosi e amici, hanno posato lo sguardo disciplinare sulle proprie case e su ciò che a partire dalle proprie case è possibile raccontare.

 

Il vuoto e l’orizzonte.

Carlo Prati

«vediamo come va. Queste medesime parole, Vediamo come va, intenzionali dal tono, ma sibilline in mancanza di altre, furono pronunciate dal ministro, che in seguito precisò il proprio pensiero, Volevo dire che potrebbero essere quaranta giorni, ma anche quaranta settimane, o quaranta mesi, o quarant’anni, bisogna però che non escano[1]

Quel che è successo a partire dal 25 Febbraio 2020, data in cui viene emanato il primo decreto del presidente del Consiglio dei ministri recante le norme per il contenimento della pandemia di Covid-19 in Italia, ci ha proiettato sia a livello collettivo che individuale, in un classico scenario distopico. Sono molte le analogie tra la condizione che sperimentiamo e gli immaginari narrativi escatologici che abbiamo a lungo prefigurato e di cui ci siamo nutriti per immagini o parole. Il risultato di questa convergenza tra realtà e finzione evidenzia quanto la situazione attuale sia da considerarsi come uno spartiacque, un punto di svolta, a partire dal quale i vecchi strumenti diventeranno obsoleti. Per questo il tempo presente, drammatico e crudele, è anche un tempo di opportunità e cambiamento.

Ora ritengo sia prematuro sforzarsi di capire se ed in che modo l’architettura cambierà, a quali mutazioni andrà incontro il manufatto, l’edificio, lo spazio abitabile della casa. Al momento siamo in una fase di accumulazione dati, chiamati ad un compito non facile ma necessario: fare esperienza del processo in corso (sia alla grande che alla piccola scala) per fissarne, attraverso un percorso di anamnesi scientifica, gli scenari e le prospettive, attraverso un continuo rimando di sguardi tra spazio interno ed esterno, sia psicologico che fenomenico.

«la città giaceva estinta, come sepolta dalla cenere d’un vulcano invisibile, silenziosa e funerea come una città disfatta da una pestilenza, enorme, informe, dominata dalla Cupola che le sorgeva nel grembo come una nube[2]

Le nostre finestre inquadrano lo spazio del vuoto, la scena di un’estinzione a tempo. Lo spazio pubblico si è trasformato – attraverso l’occhio glaciale del drone, attraverso quel che vediamo nei telegiornali o sui social – in uno spazio di alienazione e di estraneità. Ma cos’è il vuoto? Qual è il suo senso? E ancora: quale la sua forma e quale il suo spazio? Il vuoto è un ossimoro, un simbolo che riunisce in sé universo fisico e metafisico, un paradosso perché per definirsi necessita del suo contrario. Il vuoto non è individuabile attraverso una sua natura specifica e ciononostante ne siamo costantemente pervasi.

In tal senso, il mio modo di interrogare un tema e di sottoporlo a verifica progettuale è duplice: da un lato attraverso il disegno di architettura e, dall’altro, tramite l’approfondimento teorico-critico ed il dialogo multidisciplinare[3]. La serie di collage “Moderno Vuoto”, è una messa in atto volontaria della forma del vuoto attraverso un’operazione di trasformazione e riconfigurazione di dieci architetture feticcio del Movimento Moderno: in particolare Moderno Vuoto 2 opera una sottrazione dell’apparato murario della Torre Velasca di BBPR a Milano lasciandone a vista solo la nuda struttura.

Pensando alla casa: ritengo che a mutare non sia l’uso che facciamo degli spazi quanto, piuttosto, gli animi di chi li abita. La condizione imposta dalla quarantena forzata, ci mette a stretto contatto (è proprio il caso di dirlo) con le nostre paure, con le nostre idiosincrasie ed attaccamenti. Il cangiante panorama dell’abitazione è specchio di una non sempre facile convivenza con sé stessi e, successivamente, con l’altro. Ancora sul disegno come progetto: questo senso di vuoto personale prodotto da una condizione di solitudine simultaneamente individuale e collettiva è il significato simbolico nascosto nel disegno “House with Two Horizon” che Raimund Abraham realizza nel 1973 per Kurt Kalb. Alla rilettura dello stesso sto dedicando una serie di disegni che riflettono sulla possibile costruzione di un nuovo concetto di architettura del (e nel) paesaggio in cui sia riconoscibile non tanto un’osmosi, quanto piuttosto una autonomia ed un dialogo paritetico tra architettura e natura. È un alternativa alla semplicistica visione pittoresca del nostro prossimo futuro, che prefigura (come unica via di salvezza) la fuga dalle metropoli verso le piccole realtà rurali e le campagne.

Note
[1] José Saramago. Cecità. Pagg. 38-39. Einaudi edizioni, Torino 1998

[2] Gabriele d’Annunzio. Il Piacere. Pag.325. Edizione Einaudi, Torino 2014

[3] Carlo Prati. Lo spazio del vuoto. LetteraVentidue edizioni, Siracusa 2020

 

On line
https://www.letteraventidue.com/en/prodotto/388/il-cielo-in-trentatr-stanze

 

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