Da qualche decennio ormai gli architetti romani si dividono tra depressione e autocompiacimento. Da un lato sembrano (sembriamo, sembriamo…) impotenti a cambiare una cultura politica e amministrativa abituata a ignorare con disprezzo ogni loro proposta e a cancellarli impietosamente dai processi di costruzione della città. Dall’altro si rivelano troppo spesso inclini a “rifarsi” di questa frustrazione con l’attitudine a mirabolanti prove grafiche e figurative (ieri manuali oggi digitali) che certamente hanno il pregio di mettere provvisoriamente in luce chi ha più talento ma che alla lunga finiscono per consolidare quella condizione di incomunicabilità tra la società e i suoi architetti più colti e coraggiosi.
Per questo, confesso, mi capita di guardare ai fenomeni architettonici di vecchie e nuove “scuole romane” con un surplus di scetticismo e una sensazione diffusa di doloroso spreco di risorse. Vedo infatti molti architetti attenti a sperimentare forme e metodi radicali e innovativi, basati sull’uso creativo del computer o sull’attitudine all’evento urbano, ma sembrano ancora pochi quelli che hanno voglia di mettere insieme la giusta aspirazione ad allinearsi alle “ultime tendenze” internazionali con una elaborazione concettuale propria e originale e con uno sguardo innovativo sulla città e i suoi problemi (Roma e non solo). Sguardo ed elaborazione che forse permetterebbero di sfondare il “muro di gomma” di comittenze pubbliche e private e di affrontare con maggior possibilità di non soccombere sia la crescente invadenza di sovintendenze e conservatori vari sia l’abbraccio “peloso” e ancor più mortale di associazioni professionali neoredente, nuovi aspiranti alla carica di “maestro” e quant’altro.
Per questo, per questa strana insofferenza dell’architettura romana verso la stringatezza concettuale e le idee forti, la proposta del gruppo BASE1 per l’area della stazione di Mendrisio mi pare particolarmente interessante, con il suo dispositivo progettuale chiaro ed evidente, con le sue forme leggere e mutevoli, con la sua aspirazione ad essere luogo di relazioni piuttosto che di forme definite.
Per questo mi pare logico che un gruppo con questo genere di ambizioni espressive sia andato a cercar gloria all’estero, in particolar modo in Svizzera, la madre adottiva dell’espressione rigorosa e concisa. Non che quello degli otto giovani romani sia un progetto “svizzero”. Anzi, manca del tutto, e per fortuna, del lusso formale, della ieratica compostezza e circolarità retorica che caratterizzano il tardomoderno elvetico. All’opposto la sua forza e la sua credibilità si affidano a significati di tutt’altro segno: l’incertezza, la mutabilità, il senso del tempo e del movimento. (Pippo Ciorra sulle pagine di architettura.it)
Concorso internazionale EUROPAN 6, “in between cities: dinamiche architettoniche e nuove urbanità” Area d’intervento: Mendrisio, Svizzera Italiana; Tema: La nuova stazione ferroviaria.
Progetto Menzionato (Runner-up)
Crediti: Arch. Carlo Prati (capogruppo) con B. Appolloni, C.Baccarini, G. Evels, S. Caiulo, C. Anselmi, M. Daró, S. Martino.
Anno: 2001