Città Casa
La metropoli è una categoria scientifica il cui senso e significato riposa, saldo e nascosto nei recessi del sentire individuale: “costruisce” la sua immagine e sostanza per mezzo di prefigurazioni, che dal singolo rimandano al collettivo, che dal privato tendono al sociale. Fino alla fine dell’800 lo spazio abitato, la concrezione sociale, in cui convergono fattori molteplici – che hanno alla base lo scambio, la transazione, il soggetto mondano – non presenta particolari complessità: l’Europa è nazione-casa, in cui solide tradizioni ed identità consolidate convivono in un clima di tranquillità protetta. Le nazioni più evolute – come la Francia – hanno fatto i conti con sommovimenti e paure da cui scaturiscono metodologie di confronto e conflitto di tipo urbano. Il lavoro di Maurice Halbwachs che prende in esame il regime degli espropri nella Parigi di fine ottocento fa emergere il “fatto urbano” – la città e le sue invarianti monumentali – quale testimonianza di un continuo conflitto tra potere politico ed ecclesiastico.
Le matrici che determinano questa forma urbana sono i grandi assi viari di Georges Eugène Haussmann, ampi plateau, luoghi centrali e di relazione, giardini. La città – come la casa con la sua specifica e rigida suddivisione funzionale – è luogo familiare, ospitale in cui appunto vige una sana compartimentazione tra classi, poteri e nuove categorie economiche.

L’Accademia, le Beux Arts, forniscono l’apparato linguistico e decorativo abbellendo ed imbellettando case, palazzi ed edifici per lo svago ed il piacere. Il concetto di Metropoli non è ancora introdotto, ma è senz’altro nella “familiarità” rassicurante che pervade il cuneo temporale tra 800 e 900 che è possibile ravvedere i prodromi delle complessità contemporanee e delle derive teoriche corrispondenti relative al progetto urbano. Sarà forse Karl Marx ad individuare un elemento di primigenea incrinatura di questo “stato delle cose”, laddove analizzando il nuovo fenomeno della casa “in affitto” riconoscerà una prima ed embrionale forma di alienazione nella relativa “perdita di proprietà” dello spazio intimo e domestico da parte dell’inquilino – vero e proprio trauma nella percezione psicologica individuale dello spazio urbano. E’ da qui che scaturisce una frattura atavica tra la percezione della città come luogo autobiografico, terreno di esperienze piacevoli e condivise, dirottandola verso un più sofferente luogo della complessità e della contraddizione.
Ad avallare queste sommarie riflessioni, si cita un altro importante “momento” della indagine su alcuni aspetti del novecento, il secolo che più di ogni altro ha imposto accellerazioni e mutamenti alle strutture sociali ed urbane: il saggio di Sigmund Freud “Das Unheimliche” del 1919, in cui il celebre psichiatra viennese si avventura nella ricerche delle forme archetipiche e simboliche legate alla paura ed ai suoi luoghi di elezione.
Si ritiene che l’importanza cruciale di questo studio risieda nella individuazione del Tema quale vera invariante del sentire intimo della nuova società. In estrema sintesi, attraverso l’analisi di una novella di E.T.A. Hoffmann “l’orco Insabbia”, Freud definisce – sospinto e suffragato da un attenta analisi semantica – il “perturbante” quale il domestico e familiare che si fa sinistro; che, nella sua iconografia rassicurante e bonaria in realtà è portatore di angoscia ed incertezza. Homely (casalingo) ed unhomely (perturbante) per gli anglosassoni sono dunque termini che sfumano l’uno nell’altro. Allo stesso modo la casa, l’edificio, il quartiere, la città e la metropoli nel corso del novecento diventeranno, luoghi dapprima familiari poi inospitali e via via sempre più scenari di catastrofi e spazi di conflitto – vere e proprie “città panico” per dirla con Paul Virilio.

Città Feticcio
Quello che, a partire dal primo novecento avviene in ambito urbano con lo scoppio della prima guerra mondiale si riflette e ribalta nel più vasto scenario degli stati nazione. La paura ed il senso di sradicamento e distacco dalle radici domestiche di una generazione al fronte si sposta in trincea, il luogo fisico della separazione. Heimat – patria – che possiamo a buona ragione ritenere sia legata alla condizione urbana è fisicamente appunto, dirottata e separata sia sul piano privato che sovrapersonale.
E’ a partire dalla ferita inferta sull’immaginario collettivo, che gli intellettuali europei si affrettando ad indagare, cercando di ristabilire e riallacciare quei cordoni ombelicali tranciati tra individuo e habitat.
Le avanguardie operanti a cavallo dei due conflitti mondiali sono molteplici, ma gli atteggiamenti che in sintesi sono ravvedibili sembrano porsi di fronte al Perturbante con eguale interesse e caparbietà. Da un lato il Surreale: dall’ Art Noveau fino a Breton, Dalì e Tzara esso vedrà nella simbologia, nell’onirismo, nel ritorno alla vita intrauterina ed al cavernicolismo, l’unico modo per recuperare il rapporto perduto tra essere e ambiente. Dall’ altro a partire dai Futuristi e fino al Cubismo porterà all’epifania razionalista ed alle accorte riflessioni che sulla metropoli appronteranno poi Le Corbusier ed i suoi epigoni.
Nel mezzo le ricerche sulle tipologie tradizionali come tropo de l‘homely, del rassicurante e del gradevole: paradigmi antropologici studiati su tutti da Heinrich Tessenow e dai ricercatori di indole tardoromantica.

Alla città si riguarda come ad un oggetto, come ad un tropo appunto, fatto di parti di sistemi di connessioni infrastrutturali separabili ed al contempo in grado di coesistere ed autosostenersi. Città verticali, su vari livelli, giardini che attraversano il grado zero di un territorio poetico e dominato psicologicamente, perchè puro e depurato di orpelli e belletti. Severità rigida e autopunitiva. Come ha intercettato Walter Benjamin il vero punto di contatto tra aree e tendenze culturali apparentemente antagoniste è necessità di trasformare il modello studiato – la metropoli – in un paradigma, in un feticcio. Intoccabile ed esaustiva la città della prima metà del XX° secolo è un soggetto molteplice ma autoconcluso, rassicurante ed eterogeneo.
La “maison Dominò” ed il “ready made” duchampiano nella intuizione di Benjamin collidono aderiscono e collimano.
Città Frammento
Con il superamento dei conflitti mondiali – o con la rimozione che lentamente ad essi è sopraggiunta – dunque a partire dagli anni cinquanta e fino ai tardi settanta, nell’arco di un ventennio ricco di eventi e complessità quello che la cultura architettonica ha tentato di fare è stato – alla luce delle precedenti riflessioni – scardinare l’aura magica e simbolica che circondava proposte e prototipi di visioni utopiche pregresse. Se, da un lato, la necessità di riformare e ricostruire poneva gli architetti di fronte ad esigenze pratiche concrete, a cui in Europa si è risposto innestando sulle metropoli colpite, siedlungen (Taut) e interi quartieri a destinazione residenziale (INA casa), dall’altro non sono mancate le iperboli critiche ed utopiche che in massima parte hanno avuto come referenti sia i Situazionisti ( la “naked city” di Debord) sia personaggi si spicco isolati quali l’olandese Constant (“New Babylon”).

Per il valore critico, queste ultime ricerche sono ritenute estremamente importanti. In particolare la visione di una città “sovrapposta” a quella apparente e dominante, presenta per la prima volta una questione fondamentale della contemporaneità: la bigness.

La New Babylon incarna una forza straordinaria che eserciterà – e continua ad esercitare – profonda influenza su uomini e cose. Al perturbamento, al domestico che si ritorce e trasforma nel suo contrario, alla metropoli europea di fine 800 che nel suo rassicurante aspetto Beaux Art si muta nella maceria e nel detrito nella sconfortante e paurosa forma della distruzione, l’unica risposta possibile – ci dicono le seconde avanguardie – è la “sovrapposizione”.

Non la rimozione, ma la giustapposizione di un sistema antagonista nuovo e per sua natura intrinseca “autonomo”: la metropoli diventa dunque “nomade” in movimento(la “walking city “di Archigram) e così anche un altro tropo del novecento, il “monumento”, che si accumula e estrude infinitamente ( il “monumento continuo” di Superstudio) e si attesta soverchiandole sulle megalopoli globali (Rem Koolhaas e Madelon Vriesendorp); il monumento poi attraverso l’apertura al pensiero analogo rimanda per una sua supposta identità autobiografica alla “città analoga” di Aldo Rossi, fatta di frammenti accumulati e giustapposti.
Come ha osservato un grande scrittore statunitense recentemente scomparso David Foster Wallace, però tutta quest’estasi post-moderna conserva un sapore amaro e melanconico.
“Questi ultimi anni dell’era postmoderna mi sono sembrati un po’ come quando sei alle superiori e i tuoi genitori partono e tu organizzi una festa. Chiami tutti i tuoi amici e metti su questo selvaggio, disgustoso, favoloso party, e per un po’ va benissimo, è sfrenato e liberatorio, l’autorità parentale se ne è andata, è spodestata, il gatto è via e i topi gozzovigliano nel dionisiaco. Ma poi il tempo passa e il party si fa sempre più chiassoso, e le droghe finiscono, e nessuno ha soldi per comprarne altre, e le cose cominciano a rompersi o rovesciarsi, e ci sono bruciature di sigaretta sul sofà, e tu sei il padrone di casa, è anche casa tua, così, pian piano, cominci a desiderare che i tuoi genitori tornino e ristabiliscano un po’ di ordine”
Laddove per alcuni proficui anni intellettuali e ricercatori hanno banchettato sulle ceneri di una cultura stantia come quindicenni ad una festa, ora -presi dalla noia e dall’ abulimia di una condizione “anomala” – attendono il ritorno di un qualunque autorità – sia essa esterna o interiore.
“L’opera di parricidio compiuta dai fondatori del postmoderno è stata importante, ma il parricidio genera orfani, e nessuna baldoria può compensare il fatto che gli scrittori della mia età sono stati orfani letterari negli anni della loro formazione. Stiamo sperando che i genitori tornino, e chiaramente questa voglia ci mette a disagio, (…) E poi arriva il disagio più acuto, quando lentamente ci rendiamo conto che in realtà i genitori non torneranno più – e che noi dovremo essere i genitori “ *
Mentre tutto questo ruminare si ritorce, la realtà sopravanza e prevale. Si sviluppano nuove tecnologie di condivisione, il mondo affronta crisi globali che rendono evidente l’anacronismo di antagonismi e metodi procedurali discordanti.
Città Slums
Ecco allora che parlare di complessità e strategie del progetto urbano oggi risulta pratica determinante. Ricerca ed indagine che sottende ad un imperativo etico e morale che non si può sottacere e di fronte al quale non si può retrocedere.
L’università e le sue strutture operative sono oggi in molti luoghi del mondo perlopiù impegnate in ricerche che hanno per soggetto la metropoli contemporanea. Il “perturbante”, è espresso infatti dalla sostanziale aderenza tra instanze sociali, bisogni collettivi, emergenze e crisi messe in atto a livello globale.
I problemi che oggi sono riscontrabili – alienazione, disagio, violenza, degrado, assuefazione,…- in aree depresse come metropoli-megalopoli di città del terzo mondo – Sud America, Africa, Estremo Oriente, …- sono ravvisabili e percepiti in analoghe condizioni urbane in aree dell’Occidente più avanzato e progredito. Si pensi alle rivolte nelle Banlieu parigine o ai “riot” dei ghetti americani come South Central.
Come evidenziato questo è quello che potrebbe configurare una nuova frontiera della ricerca in virtù della scarsa capacità operante dei progetti autoconclusi o di corrispondenti monolitiche metodologie di intervento.
La cultura progettuale contemporanea che sceglie gli ambiti urbani quale terreno di indagine oggi si interroga sulla “modalità” attuativa, proponendo solo in ultima istanza – si noti bene – soluzioni formali specifiche il cui valore sta nella elevata modificabilità e mutevolezza. Il progetto Elemental Chile – ad esempio – il cui ideatore Alejandro Aravena è stato premiato come migliore giovane architetto nell’ambito dell’ultima Biennale di architettura diretta da Aaron Betsky, ha ricevuto questo importante riconoscimento proprio per la metodologia operativa ideata, che ha permesso di realizzare un numero cospicuo di alloggi espandibili a basso costo in Chile per far fronte alla carente situazione abitativa del paese latinoamericano. Solo un esempio s’è detto, che è paradigma di azioni innovative come la definizione di nuove “tipologie” di intervento sulla metropoli.

Ecco allora che è nella pianificazione e realizzazione di interventi di “innesto”, di “sovrapposizione” o di “estensione” sull’esistente che si aziona lo sviluppo urbano consapevole “oltre gli edifici” appunto, intendendo questa come un affermazione “aperta”.
In questa direzione c’è ovviamente spazio per il progettista, per lo studio professionale che però ridefinisce il suo ambito, rompendo le tradizionali barriere che lo sostanziano. L’uso di nuove tecnologie in questo solco è affatto marginale: si prenda ad esempio il lavoro dello studio newyorkese Shop Architects: nell’ambito delle procedure lavorative il software applicativo è inteso come open-source cioè modificabile esso stesso dagli utenti e dai soggetti operanti. In particolare la struttura americana implementa al suo interno diverse e molteplici figure professionali e utilizza macchine a controllo numerico nelle fasi di cantierizzazione del prodotto. Detto ciò si dimezzano i costi e ottimizzano le risorse, sviluppando al contempo nuove e conturbanti iperboli plastiche.

Consapevolezza ed etica sono dunque nuovi paradigmi che il progetto può e deve contemplare per avvalorarsi, sostanziarsi e darsi alla collettività con rinnovato spirito e fiducia.
* Stralcio da una famosa, classica intervista rilasciata a Larry McCaffery per la “Review of Contemporary Fiction”, estate 1993.
Il presente scritto costituisce la semplice rilettura e formattazione per immagini e web di un testo elaborato nel corso di un esame universitario per un posto da Ricercatore presso l’Università La Sapienza di Roma facolta di Architettura “Ludovico Quaroni” sostenuto dal sottoscritto nell’autunno del 2009
autunno del 2009?
ammazza che commento,
direi prolisso anzichè no!
come primo contatto dinamico lascia ben sperare
😉
si comunque Ale, come sai sono ancora in rodaggio