“CINQUE ARCHITETTURE SVIZZERE” recensione di Valter Scelsi

di Valter Scelsi

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Cavallo di Troia Raoul Lefèvre, Recoeil des histoires de Troyes, Bruges o Gand ca. 1495 BnF, Français 22552, fol. 277V

Nel cuore del secolo della psicoanalisi, il 900, Georg Groddek, affermando che l’uomo possiede la parola per nascondere i propri pensieri, concludeva che il linguaggio è incapace di dare espressione alle nostre riflessioni più preziose e profonde. Ciò perchè il pensiero originario dell’uomo è muto, sotterraneo, inconscio. La muta interiorità, quindi, vista come ciò che è autenticamente umano. Ma la forza che determina la forma, egli dice, è ciò che dimostra la sostanza dell’uomo (“il valore”, dice lui);

E’ nell’essenza del linguaggio essere impreciso, travisare, anzi, è proprio nell’essenza umana. Mentre queste emersioni parziali di un pensiero inconscio, groddekianamente inteso, perfettamente chiuso in sé stesso, invisibile agli altri (così lo crediamo, almeno), possono essere definite “la nostra ispirazione”, qualcosa che ci venga riconosciuta come un’autentica e originale forma di produzione, il riflesso di uno splendore intimo.

Naturalmente in esse il significato, come tutti i significati, non è completamente condivisibile, e ciò ci sostiene ulteriormente, così come ci conforta l’ineffabilità di queste tracce emergenti dalla memoria, l’impossibilità di definirle e, quindi, di associarle a parole che ne diventino parte costitutiva travisandole e trascinandole con sé, magari lontano, lontano anche da noi.

Incatenati nei limiti del linguaggio, gran parte della vita la impegnamo nello sforzo di provare noi stessi al mondo.

Così, sottoponendosi anch’egli a questa prova, Carlo Prati istituisce un indice degli «elementi primari» attraverso i quali operare il racconto delle cinque architetture scelte.

L’architettura è un sistema composto di segni «e, come tale, può essere organizzata, almeno parzialmente, come altre strutture linguistiche» (era quello che scriveva, nel 1959, Dorfles), ma è anche quel sistema linguistico al quale si tende a reagire ricercando, come fa Dorfles, un quid formale, che egli definisce “gestaltema”, capace di esprimersi anche solo mediante il proprio aspetto formale-configurazionale.

Tuttavia, in queste emersioni dell’inconscio, o meglio, del subconscio, che citavamo prima non arriviamo mai compiutamente ad afferrare la forma. Così, mancando μορφή, tutto si riconduce a un valore simbolico che previene l’oggetto, quello di un suono indistinto che proviene dalla foresta sensoriale, un suono che non è forma, appunto, ma promessa di forma, in una dimensione ancora linguistica, la stessa che ci fa credere, a volte, che l’architettura possa essere una condotta umana che non prevede l’inserimento di una significazione concettuale (l’azione per la quale città e architettura vanno spiegate) che si interponga tra sè e gli abitanti.

Un’architettura libera finalmente dalle sovrastrutture del Moderno, che si avvia verso la foresta come il suono di flauto del pifferaio di Hamlin.

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The Dreaming City, Victor Brauner, 1937

Ed è proprio negli elenchi di simboli che ho trovato il centro dell’attenzione nella lettura del bel libro di Carlo.

Attribuiti alle architetture in esame, sono simboli individuati attraverso la citazione di simboli, cioè attraverso una collana di citazioni. Del resto, un testo è sempre anche un sistema ben strutturato di citazioni.

Credo che, sempre, il grado del valore simbolico sia direttamente proporzionale alla capacità del simbolo di venire inteso, penso, quindi, che più che di simboli negli elenchi del libro di Prati si possa parlare di elementi primari della simbologia.

Da un lato, un insieme di citazioni (la roccia, la caverna, la montagna, l’alveare…), un codice in forma di glossario. Dall’altro, un insieme di immagini che si vorrebbe fossero legate alle citazioni, ma che sono a loro volta miscele di citazioni.

Il punto è qui, secondo me, e l’unione delle cinque architetture, per la verità piuttosto eterogenee, avviene tramite l’uscita comune dal meccanismo citazionista circolare: è la capacità di estendere la possibilità di lettura. Non solo opere per un pubblico che può accedervi o meno in base alla propria capacità di utilizzo e di lettura, nè che aspetti un intervento di significazione concettuale (l’azione per la quale città e architettura contemporanea vanno spiegate), ma architetture che sono, anche, causa di emersioni procurate dell’inconscio.

 

Intervento di presentazione del volume “Cinque architetture svizzere. Progetto, inconscio, natura” tenutasi il 21 Settembre 2016 presso la Casa dell’Architettura di Roma https://carloprati.wordpress.com/2016/09/09/cinque-architetture-svizzere-convegno-e-presentazione/

 

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