Brainframes Roma
di Carlo Prati
L’ex capo della Protezione Civile del governo Pieraccioni fu eletto sindaco grazie a “Marchette rosse” lo scandalo che annientò definitivamente l’intero gruppo dirigente del PD romano e dei suoi candidati alle amministrative 2016. Grazie al tam-tam quotidiano di free press e telegiornali, la Loggia P38 riuscì a sbaragliare il campo da ogni avversario politico e a spianare la strada verso il Campidoglio a Guido Bertoldino, detto anche “Mr. Centro Massaggi” dalla sua ben nota passione per i trattamenti delle beauty farm di Via Salaria. Principiò per la città eterna una nuova stagione di degrado e corruzione, ancora più violenta di quella subita sotto il governatorato del Sindaco Alemannocrazy, il braccio politico del “Nero”, il terribile boss cecato di Underworld Magliana.
La prima mossa di Bertoldino fu uno shock: la demolizione di Ponte Sant’Angelo come atto preventivo in caso di alluvioni del Tevere. Rimanemmo increduli ed esterrefatti difronte a tanta protervia e insensatezza.
La mia mente ritornava in automatico a quel tempo oscuro che tutti pensavamo di esserci lasciato definitivamente alle spalle.
Come la notte della Prima Piena, quando…
“Intorno alle 23.00 del 12 Dicembre il fiume esondò all’altezza di Ponte Milvio. L’ondata fu impossibile da arginare. A nulla valsero le precauzioni prese dalla protezione civile: muraglie posticcie di sacchi di sabbia, truppe d’assalto dispiegate su ordine del Ministro della Guerra La Russa, le Beate del Calendario dell’On. Carfagna pronte ad aprire le porte dei loro decolleté sili-conici. E nulla poterono tantomeno gli innumerevoli presidi degli Arditi dislocati su ordine del primo cittadino da ponte Milvio a ponte Marconi. La compostezza statuaria delle sentinelle del Cannone Eterno appartenenti al nucleo Alemannocrazy furono travolte per prime, in blocco, sul ponte in cui i seguaci del Moccia si incatenano davanti alle telecamere del Grande Fratello. La cupola del Pantheon, Sant’Ivo, la Piramide, il Colosseo, in un sol colpo furono figure piene, meravigliose ed estatiche. La città fu eterna e metafisica. Dall’acqua spuntavano modelli irraggiungibili di supremazia e compiutezza.
Pire. Fuochi improvvisi e scritte sui tetti delle abitazioni in costruzione alle porte della città. “QUI: VIVI” scritto a caratteri cubitali sui tetti in Kalzip taroccato dei centri commerciali di Porte di Roma. Gommoni ed entrobordo con a poppa costruttori del tipo Caltargironico o Parnasico, alla deriva tra Parco Leonardo ed Euroma 2. Presentatori tipo Cucuzzo o Pippobaudi arenati in Suv, urlanti al nulla, vuoto degl’iPhone infracichiti. E poi il mantra indicibile dei politicanti tutti, nell’aula del Sartorio parzialmente inondata dai detriti; bloccati nella ripetizione del gesto del pigiare ora automatico ed eterno. Intorno, milioni di fogli imbevuti di Tevere: decreti, ingiunzioni, convocazioni, avvisi di garanzia, trascrizioni, intercettazioni, richieste, appelli. S’inabbissarono tra gemiti del tipo nazionalpopolare, quelli che un tempo furono Sottosegretari, Ministri, Commissari, Sceriffi, Sottotenenti e financo Centurioni e Gladiatori.”

O delle innumerevoli volte in cui Roma era stata il teatro di squallide campagne elettorali vissute sullo sfondo di soffocanti calure ed ingorghi interminabili. Visioni mentali di queste giornate di rientro scaglionato, implotonato, seguendo il ritmo ossessivo di un andatura marziale stabile ai 10 Km per ora. Ecco che…
“Appena imboccata l’uscita Roma-Salario arriva come una sferzata in piena faccia la coda al primo semaforo. Uno sguardo a destra. Uno a sinistra. Le lamiere si scaldano al primo sole primaverile. Caos. Altre parole non trovi se non: inferno e metropoli. Deceleri, passi in folle, freni.
Un solo interesse…tu!
Tempo di elezioni e di delirio. Entri nel cuore della metropoli e le strade si fanno strette. Come di esofago bloccato. La corsa si arresta. Scaricano agnelli e quarti di bue. Lentamente se li caricano sulle spalle. Sudano. Moto, motorini, signore in bicicletta, tentano di oltrepassarti come di ostacolo posto all’ultimo e disperato tentativo di fuga. Il camion frigorifero non accenna a spostarsi. Più indietro si formano code e code, che nella tua immaginazione sembrano penetrare fino in centro, fino a Piazza del Popolo oppure alla Via del Corso. Urla e grida, il ragazzo che smonta il camion è nero. Un energumeno si staglia tra le emissioni liminari delle auto in fila. Aò ma che aspetti a spostà quer coso! I passanti si girano, chi inorridito e chi invece d’esulto rapito. Ancora clacson, sopra le teste ripassa l’aereo elettorale dello sceriffo extraterrestre.
Vota Bud Spencer
Il blocco prosegue, ma il camion è finalmente scaricato.
Si riparte. Dovunque manifesti elettorali
Eleggi te stesso!
Nella tua testa − mentre arreso osservi questo circo chiassoso, questa danza macabra e deprimente − senti crescere un motivo: dapprima di clarinetti poi di rullante e cassa. C’è anche una teoria di fiati scomposti ma delicati.
Ta tata ta tarara, ta ta ta ta ta taaaa. Ta tata ta tarara, ta ta ta ta ta taaaaa.
Non ti puoi sbagliare è L’illusionista di Nino Rota, sinfonico psicopompo che introduce la Roma di Fellini e di Flaiano. Sono ritratti sagaci e feroci di un umanità corrotta e sorniona − immanente archetipo di disinvolta trivialità − che si sporgono dai manifesti elettorali, che gorgheggiano epiteti nei cellulari presi a mutuo, che si accalcano negli interstizi tra portiera e portiera, che indossano caschi con le orecchie da orsetto o le corna del diavolo. Sui muri celtiche e inni da stadio. Un tutto che a contemplarlo ricorda il doppio infinito di Goethe.” (estratto)
Copertina e racconto inedito pubblicatto su “Rome. Nome plurale di città“,
a cura di Giorgio de Finis, Fabio Benincasa.
Bordeaux edizioni,
Roma 2016